Invecchiare con (com)passione

La scorsa settimana sono stato al concerto delle Pascal Pinon, due giovanissime sorelline islandesi prodotte da Alex Somers, il fidanzato di Jonsi dei Sigur Ros. Il concerto è stato piacevolissimo, nella sua semplice struttura low-fi.

Tornando a casa ripensavo alla potenza della gioventù che ti permette di andare su un palco a cantare armata di chitarra una canzone intima e delicata senza pensare che prima di te l’abbia già fatto, per esempio, Joni Mitchell.
Un giovane va incontro – anche in modo inconsapevole – alla vita (e all’arte): cioè, è la vita che da dietro lo spinge.
Essere giovani è non possedere se stessi, ma avere tutto il mondo per cercarsi.
Le due giovani Pascal Pinon hanno cantato canzoni folk semplici, aiutate da tastiere e chitarra e vari interventi elettronici.
Insomma nulla di nuovo sotto il cielo. Ma il tutto estremamente fresco e intrigante.
E mi sono stupito proprio di come la musica riesca a re-inventarsi continuamente pur non apportando alcuna modifica sostanziale. Solo per il fatto di essere suonata da qualcuno di nuovo, che inevitabilmente (e inconsapevolmente) sarà diverso dagli altri, la musica risorge ogni volta come una fenice.

Appena arrivato a casa sull’onda di questi pensieri, scopro che è disponibile in streaming il nuovo disco di David Bowie, accompagnato pure da un nuovo video “The Stars (Are Out Tonight)“.
Inevitabile fare notte fonda ascoltandolo due volte di filata, visto che lo si aspettava da oltre 10 anni. E alla fine degli ascolti, oltre a riconoscere che il disco è davvero potente, mi trovo a ribaltare i pensieri fatti solo qualche ora prima.
Se le giovani Pascal Pinon reinventavano per l’ennesima volta il miracolo della musica folk cantata su due accordi di chitarra, David Bowie invece deve reinventare se stesso.
David Bowie è stato tutto nella sua carriera. Cosa gli rimaneva di fare? Una cosa sola: il vecchio David Bowie, e il disco parte proprio dal centro di se stesso, il se stesso attuale.

Nella stessa sera mi trovo a cospetto della potenza della gioventù e di fronte ad una tormentata vecchiaia che a mio avviso non è meno scandalosa di quel pansessuale Ziggy Stardust con cui Bowie turbò le coscienze negli anni ’70.
Ogni vecchio, come David Bowie, si vede come una somma di astuzie riuscite. Ogni giovane, come le Pascal Pinon, si sente l’origine del mondo. Soltanto da giovani si vive nel presente, ignorando un passato e lanciandosi nel mondo come se si fosse i primi a farlo.
Da vecchi si cerca di sopravvivere al proprio futuro. È un icona che mancava quella che David Bowie mette in scena con la sua nuova opera. L’icona è un 66enne che non vuole continuare a sembrare un eterno 40enne, ma non vuole neanche essere raffigurato come un nonno saggio che si diverte a fare barchette con gli stuzzicadenti.
L’uomo che David Bowie ci vuole rimandare è carico di ricordi e nostalgia ma è anche pieno di  indulgenza per gli uomini e per le cose. È un uomo che ha passato la guerra e ora può medicare le ferite dei caduti, siano poi d’una parte o dell’altra.
Un vecchio uomo per nulla più sereno come la cultura mainstream cerca di farci credere siano gli over 60, ma che è sceso a patti con il dolore da qualunque parte venga.

Susan Sontag ha detto: “La paura di invecchiare viene nel momento in cui si riconosce di non vivere la vita che si desidera.
Equivale alla sensazione di abusare del presente.”
E pensare che 30 anni fa, nel 1983, David Bowie nel film “Miriam si sveglia a mezzanotte” recitava la battuta: “L’età è una malattia”.
E invece in questo nuovo disco ci provoca con un verso diretto e potente: “Sono qui, non sono ancora morto”.
Ma la morte in questo disco è evocata, la si vede all’orizzonte. Infondo si dice che si invecchia per lasciare il mondo con meno dolore. Avete presente la celebre battuta di Anna Magnani: “le rughe non copritele, ci ho messo una vita a farmele venire”? Ecco David Bowie con questo disco non ci rimanda quell’orgoglio sulla sua vecchiaia.
Anzi, la copertina del disco è una copia di un suo vecchio disco con un quadrato bianco a coprire la faccia, quella faccia giovane.

La vita ti cambia inevitabilmente, ma anche avere pudore per quello che si è diventati è un sentimento poco manifestato nel business musicale.
Se a settant’anni pretendi che ti fischino dietro, vuol dire che hai vissuto invano. È puro masochismo.
E David Bowie lo sa. Ma ci dice anche che accettarsi per come si diventa non è facile e soprattutto non è automatico.
Si deve passare per sofferenze, dolori e disagi. E in questo disco li ritroverete tutti.

 

La canzone che mi piace ora
Keaton Henson – Sweetheart, what have you done to us
Il cantante perfetto di cui parlare su metabox. Ha fatto un solo concerto interrotto a causa dei suoi attacchi di panico. Ora si limita a mandare in streaming dal suo sito i live nella penombra di casa sua.
Immagine anteprima YouTube

Il video che mi piace ora
Soap&Skin – Sugarbread
Un montaggio serrato per ricordarci che l’incubo peggiore, lo facciamo sempre da svegli.
Immagine anteprima YouTube

La cover che mi piace ora
King Garbage – Glory Box (Portishead)
Al netto del phatos e del dramma, il pezzo dei portishead resta un pezzo perfetto per notti alcoliche e sintetiche.
Immagine anteprima YouTube

Matteo Lion

  • Date: 13 03 2013
  • Filed under: Matteo Lion, Suoni