L’orchestra del Titanic

Già lo aveva profetizzato Simon Rynolds nel suo libro “Retromania”: “Un tempo il pop ribolliva di energia vitale: la psichedelia degli anni sessanta, il post-punk dei settanta, l’hip hop degli ottanta, il rave dei novanta. I duemila sembrano invece irrimediabilmente malati di passato.”

Mancano le novità sostanziali nella musica.

E il mercato sembra reggersi su questa inversione di gusto. Non parlo solo dell’inarrestabile immissione sul mercato di greatest hits, cofanetti celebrativi di vecchie glorie del passato o compilation tematiche.
Basti sapere che nei primi sei mesi del 2012 negli USA hanno venduto più i titoli di catalogo rispetto alle novità.

Il trend è questo. Vecchio è bello, sembra essere il nuovo mantra dell’industria musicale.

E mentre scrivo queste righe in TV sta passando il pubblicizzatissimo show di Celentano, che sicuramente nelle prossime settimane venderà di nuovo buona parte del suo vecchio catalogo.

Questa situazione di fatto genera inevitabilmente le domande: “Perché non sappiamo più essere originali? Cosa succederà quando esauriremo il passato a cui attingere? Riusciranno gli artisti di domani a emanciparsi dalla nostalgia e a produrre qualcosa di nuovo?” a cui il libro di Rynolds ha già provato a dare risposta.

A questa evidente richiesta del mercato a mio avviso può essere legata un altra nuova tendenza che sembra inarrestabile: il “famoso-disco-con-l’orchestra”.
In tempo di crisi e di minor disponibilità economica il pubblico sembra comprare solo i “grandi classici”, quasi per cercare di capitalizzare l’acquisto.
E quale modo migliore per far sembrare le canzoni, magari prodotte solo cinque anni fa, già un classico? La soluzione più semplice sembra ormai solo una: suoniamole accompagnate con una grande orchestra.

Ormai, anche solo negli ultimi mesi, non si contano gli artisti che sono usciti con operazioni-orchestrali.

Tori Amos ha risuonato con la Metropole Orchestra, ensemble Olandese diretto da Jules Buckley, il greatest hits “Gold Dust”.
Antony & The Johnson hanno suonato con la Danish National Chamber Orchestra il disco “Cut The world”, che effettivamente vede rinvigoriti alcuni brani con una miriade di soluzioni stilistiche ed espressive che solo una vera orchestra (ben diretta) sa regalare.
Peter Gabriel ha pubblicato “New Blood Orchestra”.
Gli Elbow hanno succesivamente pubblicato il disco del loro live show con la BBC Orchestra.

Anche l’Italia non è da meno. Anzi, quando si tratta di copiare, quando mai ci siamo tirati indietro?
Vasco Rossi  ha pubblicato  ‘L’altra metà del cielo‘, in cui reinterpreta alcuni dei propri successi in chiave concertistica con l’Orchestra del teatro la Scala di Milano.
Addirittura i Pooh hanno appena pubblicato il disco “Opera Seconda” realizzato con la collaborazione di un’orchestra sinfonica di 67 elementi.

La canzone che sicuramente dominerà le classifiche dei prossimi sei mesi è stata registrata con un orchestra di 77 elementi, proprio per suonare fin dal primo ascolto una “new classic”: “Skyfall” di Adele.

E non c’è stile musicale che sembri immune da questa tendenza.
Gli stessi The XX, famosi per lo stile clubbing, hanno suonato da poco con la BBC Philharmonic.
E come dimenticare il mitico concerto dei Portishead con la New York Philharmonic Orchestra registrato in tempi non sospetti?

Alcuni dischi con l’accompagnamento orchestrale sono davvero interessanti.
Mi spaventa il fatto che stia diventando davvero una tendenza troppo trasversale e marcata.
Mi spaventa come un prodotto così particolare e che dovrebbe essere un esercizio di stile e una parentesi nella carriera di un artista sia invece spinto con campagne pubblicitarie importanti da parte delle case discografiche.
Mi inquieta come dietro ad alcune di queste produzioni sia evidente il desiderio di aumentare la tipologia di acquirenti e capitalizzare un catalogo già proposto in mille altre forme.
Insomma ho paura che siamo di fronte all’orchestra del Titanic che continua a suonare anche se la nave del mercato discografico sta affondando.

Spesso si cerca di dare una veste “classica” a pezzi che nascono come canzonette pop.
Ed è li che, secondo me, l’operazione mostra tutta la sua artificiosità. “Ho sentito interpreti straordinari anche con violini meno famosi. Il suono viene da dentro di noi, non da fuori.” ha detto una volta Uto Ughi.

Altre volte invece l’operazione di arrangiamento orchestrale può diventare davvero entusiasmante.
I musicisti non solo compongono, ma pensano. E a me interessa il pensiero che sta dietro la musica.
E il pensiero genera scelte.
Suonare con 77 elementi amplifica le possibilità di scelta.
E sono proprio le scelte a dare personalità.

Oscar Wilde ne “Il critico come artista” ha scritto: “La personalità è un elemento assolutamente essenziale per ogni vera interpretazione. Quando Rubinstein ci suona la Sonata appassionata di Beethoven, non ci offre solo Beethoven, ma anche sé stesso, e così ci offre Beethoven in assoluto.”

 

La canzone che mi piace ora
Dark Dark Dark – Who Needs Who
Scritto dopo la rottura dei due fondatori del gruppo, il disco è catartico per la fine di un amore.
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Una sorta di “Provaci ancora Sam” del pattinaggio ci serve come pretesto per portarci dentro un viaggio onirico ed evocativo.
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Una canzone tristissima su un amore finito così vispa dal punto di vista musicale non si sentiva da “I Will Survive” di Gloria Gaynor.
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Matteo Lion

  • Date: 12 10 2012
  • Filed under: Matteo Lion, Suoni