Le giornate al freddo ad aspettare la merce, poi smistarla, scartare quello che non serve e trasformarlo in compostaggio e poi le difficili scelte organizzative da prendere in tutta fretta per non bloccare l’attività che deve essere produttiva 24 ore al giorno.
È questo il tema de “La Zona di interesse” libro di Martin Amis dove il luogo di lavoro non è altro che un campo di concentramento.
Qui la storia, quasi sempre vista dalla parte degli ebrei, si ribalta e sono i militari tedeschi a esserne i protagonisti assoluti.
In questo piccolo microcosmo i personaggi prendono di volta in volta la parola raccontando il loro “problemi” quotidiani.
E come in qualunque comunità si ritrovano la sera a cena con le mogli o a letto con l’amante, si discute dell’andamento della guerra a Stalingrado, c’è chi ci crede ancora e chi ha già capito come andrà a finire.
L’orrore di quella pagina nera della storia è qui ancor più amplificato.
E di nuovo è la natura umana a essere oggetto di osservazione nella sua capacità di adattamento a qualunque situazione. Rimangono nella memoria il comandante Paul Doll, paranoico e grottesco, incapace di gestire il campo come il proprio matrimonio e quella del Sonder Szmul, ebreo che deve accompagnare alla morte i propri simili e poi sbarazzarsene e che in un emozionante monologo esprime tutta la disperazione per quello che fa.
La capacità dell’uomo di accettare e praticare atrocità per interesse, per arrivismo, per spirito di sopravvivenza o solo per quieto vivere, lascia ancora oggi interdetti.
Ma della storia si è sempre detto della sua circolarità e gli episodi odierni di recrudescenza di atti terroristici e del fanatismo a loro legato è lì a ricordarci di non abbassare mai la guardia.