Giochi d’ombra

Del come inserire se stessi nel proprio lavoro.

Non sto parlando della facile moda del mostrarsi per mostrarsi, ma del “mettere qualcosa di sé” in quello che si fa; di essere sinceri, di crederci, di affrontarsi.
Di non temere, poi, di farlo vedere pubblicamente.

E se vogliamo essere del tutto sinceri, che è proprio il senso di questo post, anche della curiosità di sapere cosa ci vedono gli altri quando ti guardano – perché si, tu che guardi una mia foto stai guardando me, ora lo sai – e scoprire se ci vedono quello che è il senso “mio”, quello che ci ho trovato io.

Attenzione: non che sia così importante che le cose combacino, che la tua interpretazione sia la mia.
Ci mancherebbe.
Anzi, il bello sta proprio nelle rivelazioni che gli altri ti regalano e che portano ancora più domande e ancora più rivelazioni.

Scattare fotografie è una terapia, che mi permette di riflettere ma anche di scoprire e mettere a fuoco nella vita cose di cui non mi ero accorto prima.
Una di queste cose che ho capito scattando fotografie – e forse proprio da qui è nata la serie di Verosimile – è quanto io sia “impressionista”, di quanto io mi curi anzitutto dell’insieme e poi, solo dopo, vi scopra dentro i dettagli.
Un sacco di dettagli.

“Giochi d’ombra” è una metafora delle strutture che stanno alla base del mio essere fotografo.
Ci sono io, ovviamente; poi c’è il bianco – che non è vuoto ma anzi è zeppo di piccoli dettagli che solo da vicino riesci a leggere; ma soprattutto ci sono le strutture e gli angoli e le ombre che sostengono tutto.
Questa è come una foto in assenza di fondale, il palcoscenico spoglio che lascia scoperte le quinte ed evoca la presenza dell’autore tra una recita e l’altra.

Ale Di Gangi

 

 

  • Date: 27 05 2014
  • Filed under: Ale Di Gangi, Fotografia