Cerchi che si chiudono

Era la stagione f/w 1991, mentre la sfilata era quella attesissima di Gianni Versace, lo stilista che più di altri aveva permesso l’arrivo delle modelle da copertina anche sulle passerelle, cosa non così abituale negli anni Ottanta.

A sfilare una collezione di stampe e colori accesi, gonne cortissime e stivali alti in vernice, che verrà poi immortalata in una storica campagna pubblicitaria dal compianto Herb Ritts, cosa che la rende oggi materiale da mostre nei musei più importanti del mondo.
Ma soprattutto loro: le supermodel.

E quando, come colonna sonora del défilé, partono le note di “Freedom ’90” di George Michael a camminare fiere, canticchiando la canzone, tenendosi per mano, sono proprio quattro delle protagoniste di quel video, Linda, Christy e Naomi, ovvero la Thrinity, come erano state battezzate dopo essere apparse negli scatti di Roxanne Lowit, colte nel loro momento da regine della vita notturna newyorchese, con loro Cindy Crawford, mentre del gruppo originale manca solo Tatjana Patitz.

Anche style.com ha sottolineato alcuni anni fa come quello sia stato uno dei momenti che più hanno segnato gli anni Novanta, non sapeva il giornalista Tim Blanks, nota penna e volto del web, quanto quelle immagini siano state importanti per me.
Ricordo ancora la prima volta che alla televisione passò il video della canzone, l’ex Wham! aveva scelto come protagoniste le modelle che Peter Lindbergh aveva messo sulla cover del numero di gennaio dell’edizione inglese di Vogue.
Un gruppo di ragazze dalla bellezza sana, un immaginario femmineo da dee dell’Olimpo, da idealizzare e venerare.
E la loro immagine a rappresentare una canzone che parla di una trovata libertà, lontana da una immagine preconfezionata e finta, sanciva l’arrivo di una nuova epoca, quella in cui nell’immaginario collettivo, simbolo di divismo ed eleganza, non erano più le attrici di Hollywood, ma i volti che ci sorridevano dalle copertine dei vari Vogue e Elle.

Agli occhi di un ragazzo di provincia, cresciuto con il naso attaccato allo schermo per vedere film in cui Edith Head era la costumista capace di trasformare una ragazzetta qualunque del Wyoming in una diva come Audrey o Grace, quella era la via di fuga, un film che diventava vero e plausibile, il sogno a portata di mano.
Il video prima e la passerella di Versace poi divennero uno sprone, il giusto stimolo per trovare una mia strada, qualcosa che non fossero gli studi voluti dai genitori, i convenevoli della società con le sue regole piccolo borghesi, la moda era Gaultier, con le collezioni dedicate al no gender prima che questo termine venisse inventato, o al mondo dei piercing e tatuaggi, che facevano storcere il naso ai benpensanti, erano Dolce & Gabbana che mi facevano ri-scoprire il neorealismo, era un mondo di apertura e talento.
E io ne volevo far parte.

Sono passati gli anni, qualcosina ho fatto, ma in ogni caso la moda rimane la mia passione.
E quando di recente ho postato su Instagram una immagine di quella sfilata, commentando con una frase della canzone di George Michael e subito sotto mi ha risposto Marpessa, una di quelle supermodel, volto caro a Dolce & Gabbana e a Versace, continuando la strofa di “Freedom ’90”, ho pensato che in qualche modo il cerchio si chiudesse.
Che tutto questo non sia più un sogno, ma la mia vita?

Stefano Guerrini

  • Date: 26 05 2016
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